La visionarieta' nell'arte orafa

La visionarietà è un sostantivo comune all’arte e alla psicopatologia.
Tradizionalmente l’arte visionaria è intimamente legata al Surrealismo: movimento nato in Francia nell’immediato dopoguerra  ad opera di Andrèe Breton. Nato come corrente letteraria, riguarda principalmente la poesia. In seguito, si estende alle arti visive, influenzando la pittura, la scultura, il cinema. Si presenta come un movimento rivoluzionario. Contesta i valori della società borghese e la cultura che li sostiene. Per questo, propone una nuova concezione della realtà e una nuova idea di bellezza.” 
 
 
 


Cosa si intende per visionarietà nell'arte?

In senso psicopatologico la visionarietà  è in qualche modo assimilabile ad una dimensione allucinatoria: vedere ciò che non c’è, oppure vedere qualcosa in modo deformato, non perfettamente aderente alla realtà. La capacità di vedere oltre il mero dato concreto infatti attiene alla mente creativa che tutti noi possediamo.
 
 
 
 
 
La mente creativa è quella parte, o meglio quella funzione della nostra mente, che si attiva nei sogni, anche quelli ad occhi aperti, o quando dobbiamo risolvere un problema i cui dati possono non essere necessariamente visibili, o quando intuiamo le conseguenze di un certo atto o decisione, insomma quando creiamo qualcosa che non è al momento percettibile o sensibile. In psicopatologia l’allucinazione rappresenta la creazione di un mondo altro da quello reale, ma reale per l’individuo che lo crea, in quanto significativo di una scena interna, o di una sensazione fisica che si tramuta in immagine, in visione appunto. 
Ma quando si può parlare di Arte, o di processo creativo vero e proprio, distinguendo l’arte dalla non-arte?
 
 
 
 
 
 
Se la mente creativa e la capacità immaginale è presente in tutti noi cosa distingue il folle dall’artista? A meno di volere definire un po’ folli tutti gli artisti, sappiamo che i due termini sostanzialmente differiscono. L’uno è considerato “normale”, l’altro viene considerato malato. Secondo  Freud il comportamento ordinario non è altro che il risultato di un continuo processo dialettico ra la parte più selvaggia e disorganizzata del cervello, l'Es, e quella più pesata e razionale, il Super-io.
 
 
 
 
 
 
 
Secondo questa prospettiva, per quanto bizzarro l’artista possa essere , o fuori dalle convenzioni , tuttavia egli è un individuo che ha trovato un certo equilibrio tra queste parti,  che ha trovato una integrazione anche nel sociale, è un Io che gli consente( a suo modo) di  partecipare al mondo degli altri .






L’artista porta la sua visione  del mondo al mondo, la rende visibile , comunicabile . Se pure nell’atto artistico la struttura dell’Io scompare per dare accesso alle forze oscure dell’inconscio.





Nell’artista si  attiva una forma di possessione che piuttosto che condurlo ad  espressioni psicopatologiche, lo aiutano ad esprimere la sofferenza nel prodotto artistico, capace di dare contemporaneamente linfa vitale al processo creativo  e sollievo ai tormenti della mente: l’artista   è  posseduto dal demone dell’ispirazione ( che sia  l’archetipo nettuniano del viaggio onirico,  o da quello plutoniano  come il rapimento da parte di Ade  nel mondo infero, o quello della fusione mistica con un altrove paradiasiaco) e questa possessione è anche la sua salvezza. 





Come sostiene Heghel” l’arte è  “l’apparire sensibile dell’idea” essendo l’esperienza artistica
essenzialmente mediazione e conciliazione tra spirito e materia, universale e particolare, infinito e finito, pensiero e sensibilità.
E’ un occhio  (il terzo forse) che si apre sull’inaccessibile,  che ci dà accesso alla dimensione dello spirito, una possibilità di vedere ciò che non si vede con l’immediatezza dei sensi, dunque che è dell’Arte la capacità di vedere oltre. 

Fonte: http://liliadirosa.blogspot.it/2011/08/la-visionarieta-nellarte.html

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